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Cassazione: notifiche a legali rappresentanti valide ovunque eseguite

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Roma – In tema di notificazione di atti tributari riguardanti soggetti diversi dalle persone fisiche, la disciplina dell’articolo 145, primo comma, cpc, nel testo vigente anteriormente alle modifiche introdotte con la legge n. 263/2005, non escludeva la possibilità di procedere alla notifica stessa mediante consegna dell’atto al legale rappresentante della società, anche in mancanza di un previo tentativo di notifica presso la sede dell’ente.
Questo il principio affermato dalla Corte di cassazione nell’ordinanza n. 18614 dello scorso 30 giugno.

La vicenda processuale
Una società impugnava vittoriosamente dinanzi al giudice tributario di primo grado il provvedimento di iscrizione ipotecaria notificatole dall’Agente della riscossione.
Con sentenza n. 30 del 13 giugno 2013, la Commissione tributaria regionale della Puglia, ritenendo che alcune delle cartelle di pagamento prodromiche all’iscrizione fossero state notificate irritualmente, in violazione del disposto di cui all’articolo 145 cpc nel testo vigente ratione temporis, riformava parzialmente il decisum, rideterminando, in misura inferiore al preteso, il debito tributario oggetto dell’iscrizione stessa.

Nel ricorso dinanzi alla suprema Corte, l’ente della riscossione denunciava violazione del richiamato articolo 145 cpc, lamentando che i giudici di appello avevano applicato un principio di diritto erroneo per non avere gli stessi considerato che le contestate notifiche, eseguite direttamente presso la residenza del rappresentante pro tempore della società, senza il previo tentativo di consegna presso la sede dell’ente, dovevano comunque essere ritenute valide alla luce di principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità.

La pronuncia della Cassazione
La suprema Corte ha accolto il ricorso, osservando che la questione sollevata – relativa all’interpretazione dell’articolo 145, primo comma, cpc, nel regime anteriore alle modifiche introdotte con la legge n. 263/2005 – è stata oggetto di una interpretazione non univoca da parte della giurisprudenza di legittimità che, in alcune occasioni, ha affermato che gli atti tributari devono essere notificati al contribuente persona giuridica presso la sede della stessa e, solo qualora tale modalità risulti impossibile, in base al successivo terzo comma del medesimo articolo 145, alla persona fisica che rappresenta l’ente; in altre occasioni, ha invece ritenuto valida la notifica eseguita direttamente al legale rappresentante, pur in mancanza di un previo tentativo di consegna presso la sede legale.

Secondo l’odierno arresto, nelle ipotesi quali quella in rassegna trova applicazione il principio fissato dalle sezioni unite nella sentenza n. 22086/2017, vale a dire la regola interpretativa in virtù della quale la notificazione di un atto riguardante una società – data la diretta riferibilità a essa, in ragione del principio di immedesimazione organica, degli atti compiuti da e nei confronti di coloro che la rappresentano e ne realizzano esecutivamente le finalità – è regolarmente effettuata alla persona specificamente preposta alla ricezione per conto dell’ente, anche se reperita in luogo diverso dalla sede ufficiale dell’ente, in coerenza con la regola sancita per le persone fisiche dall’articolo 138 cpc, a norma del quale la consegna a mani proprie è valida ovunque sia stato trovato il destinatario nell’ambito territoriale della circoscrizione di competenza dell’agente notificatore.

Nel caso in esame, conclude dunque il Collegio di nomofilachìa, pur non risultando tentata la consegna presso la sede legale dell’ente, alla luce del principio innanzi richiamato, la notificazione delle cartelle poteva ritualmente avvenire a mani del legale rappresentante, e di conseguenza la notifica effettuata presso l’abitazione di questi doveva ritenersi rituale.

Osservazioni
Nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 60 del Dpr n. 600/1973, la notificazione degli avvisi e degli altri atti, che per legge devono essere notificati al contribuente, “è eseguita secondo le norme stabilite dagli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile…”, con alcune specifiche modifiche finalizzate ad adattare la disciplina generale del codice di rito civile alla specialità della materia tributaria.
Il rinvio operato dalla normativa fiscale al regime delle notificazioni processual-civilistiche comporta che, laddove la notificazione debba essere eseguita nei confronti di soggetti diversi dalle persone fisiche, si rende applicabile l’articolo 145 cpc, che, per l’appunto, detta le regole per la notificazione da effettuarsi nei confronti delle persone giuridiche e degli enti in generale.
In particolare, l’attuale primo comma del riferito articolo 145 prevede, al primo periodo, che la notifica ai soggetti diversi dalle persone fisiche “si esegue nella loro sede, mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa ovvero al portiere dello stabile in cui è la sede”, precisando nel successivo periodo che la notificazionepuò anche essere eseguita, a norma degli articoli 138, 139 e 141, alla persona fisica che rappresenta l’ente qualora nell’atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale”.

La notifica al legale rappresentante è dunque attualmente ritenuta dalla legge perfettamente equivalente e alternativa a quella eseguita presso la sede dell’ente (cfr Cassazione, pronunce nn. 41903 e 35999 del 2021; 25137 e 16775 del 2020).

In passato – anteriormente alle modifiche introdotte dalla legge n. 263/2005, in vigore dal 1° marzo 2006 – l’articolo 145 cpc prevedeva invece, al primo comma, che la notificazione alle persone giuridiche dovesse eseguirsi “nella loro sede, mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa”; precisando al terzo comma, che, laddove la notificazione non avesse potuto essere eseguita con tale modalità “e nell’atto è indicata la persona fisica che rappresenta l’ente, si osservano le disposizioni degli articoli 138, 139 e 141”.

Di conseguenza, da un punto di vista squisitamente letterale, la notifica al legale rappresentante sarebbe stata ammissibile, e quindi rituale, soltanto ove posta in essere successivamente all’esperimento di un tentativo di consegna presso la sede dell’ente.

Comunità energetiche rinnovabili: il punto fra normativa e prassi

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Roma – Il fisco italiano e si è occupato più volte di “Comunità energetiche rinnovabili”. Vale la pena, in vista delle novità che si annunciano in materia di detrazioni fiscali per gli interventi di efficientamento energetico nella sessione di bilancio attualmente in corso in Parlamento , fare il punto della situazione.

L’attuale disciplina in materia di comunità energetiche – articolo 42-bis del Dl n. 162/2019, (convertito nella legge n. 8/2020) – si autoqualifica “transitoria”: dà una prima provvisoria attuazione alla Direttiva 2001 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018 in materia di promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili: la “Energy Union Strategy” mira, infatti, alla decarbonizzazione del Continente entro il 2050.
La disciplina di legge è stata poi integrata dalla delibera Arera n. 318 del 4 agosto 2020 e dal decreto attuativo dell’allora ministero per lo Sviluppo economico 16 settembre 2020 (Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 285 del 16 novembre 2020)

Quanto agli aspetti fiscali il legislatore si è occupato delle Cer nell’ambito della disciplina del Superbonus: con la legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77 del decreto Rilancio (Dl n. 34/2020), infatti, ha inserito nell’articolo 119 due commi, il 16-bis e il 16-ter, ad esse dedicati.
Ma cosa sono le Cer?

La risoluzione n. 18/2021 le definisce “un soggetto giuridico che si basa sulla partecipazione aperta e volontaria, autonomo ed effettivamente controllato da azionisti o membri che sono situati nelle vicinanze degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, detenuti dalla comunità, la cui finalità principale è quella di fornire benefici ambientali, economici o sociali ai propri azionisti o membri o alle aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari”.

L’amministrazione finanziaria individua pertanto quale “finalità principale” delle Cer quella di fornire ai propri membri benefici anche economici e profitti finanziari, due aspetti “fiscalmente” sensibili di cui l’Agenzia si è già occupata.

Quanto ai “benefici economici” la Risoluzione n. 18/2021 è intervenuta nella materia delle detrazioni fiscali spettanti alle comunità. I riferimenti normativi sono:

  • l’articolo 16-bis, comma 1, lettera a) Tuir, che riconosce una detrazione fiscale – ripartita in 10 quote annuali di pari importo – del 50% per le spese sostenute per interventi relativi alla realizzazione (sia su singole unità immobiliari che su parti comuni di edifici condominiali) di opere finalizzate al conseguimento di risparmi energetici, con particolare riguardo all’installazione di impianti basati sull’impiego delle fonti rinnovabili di energia, compresi sistemi di accumulo, il tutto nel tetto massimo di spesa di 96 mila euro
  • l’articolo 119, comma 16-bis, secondo periodo del Dl n. 34/ 2020 (norma sul Superbonus), secondo cui la detrazione prevista dall’articolo 16-bis, comma 1, lettera h), del Tuir per gli impianti a fonte rinnovabile gestiti da soggetti che aderiscono alle Cer. si applica fino alla soglia di 200 kW e per un ammontare complessivo di spesa non superiore a 96 mila euro.

La risoluzione n. 18/2021 opera il raccordo tra le due disposizioni e precisa che – proprio in forza del richiamo che ne fa l’articolo 119 – la detrazione dell’articolo 16-bis Tuir, ordinariamente a scomputo dell’Irpef, spetta anche per le spese sostenute dalle comunità energetiche “indipendentemente dalla natura giuridica” delle stesse: resta solo subordinata alla condizione che l’impianto sia installato per far fronte ai bisogni energetici dei componenti la comunità, la cui attività non costituisca svolgimento di attività commerciale abituale.

Con riferimento al comma 16-ter dell’articolo 119 del Dl n. 34/2020, l’Agenzia chiarisce invece che l’installazione di impianti fotovoltaici fino a 200 kW da parte di comunità energetiche rinnovabili costituite in forma di enti non commerciali rientra – oltreché, come detto, nelle agevolazioni dell’articolo 16-bis, lettera h) Tuir – anche tra gli interventi “trainati” ammessi al Superbonus ai sensi dell’articolo 119, comma 5 del Dl n. 34/2020. Tuttavia, anche per le Cer l’installazione degli impianti va eseguita congiuntamente ad uno degli interventi “trainanti” previsti dallo stesso articolo 119, secondo la disciplina comune.

Così pure per la detrazione prevista dall’articolo 119, comma 6 in caso di installazione, contestuale o successiva, dei sistemi di accumulo integrati negli impianti solari fotovoltaici: essa spetta anche alle Comunità nel rispetto dei limiti e delle condizioni stabilite per la generalità dei contribuenti.
Va ricordato che la legge di Bilancio 2023 (legge n. 197/2022), nel modificare il comma 16-ter dell’articolo 119 del Dl n. 34/2020, ha stabilito che “fermo restando quanto previsto dal comma 10-bis, per gli interventi ivi contemplati il presente comma si applica fino alla soglia di 200 kW con l’aliquota del 110% delle spese sostenute”: il che ha significato per le Cer, ricorrendone le condizioni, fruire del Superbonus alla originaria aliquota del 110% anche nel 2023.

Quanto alla seconda finalità delle comunità energetiche rinnovabili, i “profitti finanziari”, il primo periodo del comma 16-bis dell’articolo 119 del Dl n. 34/2020 prevede che l’esercizio di impianti fino a 200 kW da parte di comunità energetiche rinnovabili, purché costituite in forma di enti non commerciali, non costituisca svolgimento di “attività commerciale abituale”.

L’Agenzia ricorda, infatti, che la disciplina prevede che componenti delle Cer possano essere “persone fisiche, condomìni, piccole e medie imprese, enti territoriali o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali, all’unica condizione che – per le imprese private – la partecipazione alla comunità di energia rinnovabile non costituisca l’attività commerciale e industriale principale”.
Coerentemente, al fine di incentivare la diffusione dell’iniziativa, il decreto Mise 16 settembre 2020 – in attuazione del comma 9 dello stesso articolo 42-bis – a talune condizioni prevede che il GSE riconosca alle Cer talune agevolazioni le quali possono dare luogo, come notato, a “profitti finanziari”. Si tratta:

  • di una tariffa incentivante in forma di tariffa premio per l’energia elettrica prodotta dagli impianti a fonti rinnovabili delle Cer
  • dei ristorni di taluni componenti tariffarie tecnicamente non applicabili all’energia condivisa, ossia istantaneamente autoconsumata
  • degli eventuali corrispettivi per l’energia non autoconsumata, ma venduta (l’energia prodotta e immessa in rete resta nella disponibilità della comunità, ma con facoltà di cessione allo stesso GSE nella forma del “ritiro dedicato”).

Secondo la risoluzione n. 18/2021, laddove si tratti di persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, arti e professioni:

  • la “tariffa premio non assume rilevanza reddituale, in quanto finalizzata ad incentivare non la cessione, bensì l’autoconsumo istantaneo di energia così da ridurre l’immissione in rete di energia non autoconsumata
  • le componenti tariffarie restituite non sono anch’esse fiscalmente rilevanti, trattandosi di un “contributo aggiuntivo dovuto alle perdite di rete evitate
  • il corrispettivo per la vendita dell’energia è invece fiscalmente rilevante, in quanto dà luogo in capo alla comunità ad un reddito diverso derivante da attività commerciale non svolta abitualmente, ex articolo 67, comma 1, lettera i) Tuir.

Quanto a quest’ultimo aspetto, la circolare n. 23/2022 ha ulteriormente precisato che – dal momento che il corrispettivo viene erogato con riferimento sia alla energia auto-consumata collettivamente, sia all’energia in eccedenza in quanto non oggetto di autoconsumo collettivo – laddove la Cer non produca reddito d’impresa, “la rilevanza fiscale del corrispettivo per la vendita di energia attiene necessariamente alla energia eccedente l’autoconsumo istantaneo”.

La medesima materia è trattata anche dalla risposta n. 37/2022: qui l’Agenzia si sofferma sulle Cer costituite da soggetti diversi dalle persone fisiche e sui relativi aspetti Iva. Così, dal punto di vista delle imposte dirette:

  • se la forma giuridica scelta sia quella dell’ente non commerciale valgono le regole della risoluzione n. 18/2021: solo il “corrispettivo per la vendita dell’energia” sarà da assoggettare ad Ires ex articolo 67, comma 1, lettera i) del Tuir
  • se, al contrario, la Cer sia costituita in forma di ente commerciale allora tutte le somme percepite (quindi: tariffa premio, ristori e corrispettivi di cessione) rappresentano componenti positivi del reddito di impresa e come tali concorrono alla determinazione della base imponibile Ires e alla relativa tassazione.

Quanto all’Iva l’Agenzia chiarisce che sia la tariffa premio che le componenti tariffarie restituite sono irrilevanti, in quanto contributi a fondo perduto esclusi dal campo di applicazione dell’imposta ex articolo 2, comma 2, n. 1 Dpr n. 633/1972.
Per i corrispettivi relativi all’energia ceduta, invece, occorre distinguere:

  • se le comunità energetiche sono costituite sotto forma di ente non commerciale, le somme corrisposte restano escluse dal campo di applicazione Iva nei limiti previsti dalla decommercializzazione stabilita dall’articolo 119, comma 16-bis, primo periodo del Dl n. 34/2020, ossia se si tratti di impianti di energia rinnovabile di potenza complessiva non superiore a 200 kW
  • diversamente, la cessione avverrebbe nell’ambito di un’attività commerciale e i relativi corrispettivi assoggettati ad Iva, comportando per il referente della comunità l’adempimento di tutti gli obblighi connessi.

Il quadro si presenta pertanto sufficientemente definito, vedremo cosa accadrà dopo la sessione di bilancio in corso per il 2024.

Partite iva in calo: -6% le nuove aperture nel 2° trimestre 2023

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Roma 13 sett 2023 – Leggero calo per le partite Iva aperte nel 2° trimestre 2023. Secondo l’Osservatorio sulle partite Iva il periodo analizzato evidenzia un – 6,1 per cento di nuove aperture rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno. Il 70%, è stato avviato da persone fisiche, di cui il 48,3% sono giovani fino a 35 anni, il 22,6% da società di capitali e il 2,9% da società di persone.

Come di consueto è il nord Italia ad avere più appeal: fra gli ulteriori dati diffusi, infatti,  il 47,1% delle nuove aperture è localizzato al nord, il 21% al centro e il 31,5% al sud e isole.

In relazione al settore produttivo, il commercio, con il 18,8% del totale, si conferma il campo di maggiore interesse, seguito dalle attività professionali (17,8%) e dall’edilizia (10,4%). Il settore in cui il calo è stato più evidente, invece, è l’agricoltura (-25,8%). A seguire le costruzioni  con -11,3% e i  servizi d’informazione con -10,1% per cento.

Inoltre sono 56.663, pari al 47,9% del totale, le nuove partite Iva che hanno aderito al regime forfetario.

Bonus edilizi, le deroghe per lo sconto in fattura e la cessione del credito

By | Approfondimenti | No Comments

Roma – Con apposita circolare di ieri 7 settembre 2023 arrivano dei chiarimenti sulle novità introdotte dal Dl n. 11/2023 (decreto “Cessioni”), che modificando l’articolo 121 del Dl n. 34/2020 (decreto “Rilancio”) ha previsto, salvo precise deroghe, un generalizzato divieto di esercizio dell’opzione per lo sconto in fattura o per la cessione del credito d’imposta derivante dal Superbonus e dagli altri bonus edilizi.

Lo stesso decreto ha inoltre delineato un nuovo perimetro di responsabilità del cessionario del credito d’imposta e previsto particolari fattispecie di remissione in bonis.

Di seguito, in sintesi, le principali novità normative oggetto di commento.

La nuova normativa
Come previsto dall’articolo 2, comma 1, del decreto “Cessioni”, a decorrere dal 17 febbraio 2023, salvo le deroghe tassative disposte dall’articolo 2, commi da 1-bis a 3-quater, i beneficiari del Superbonus e degli altri bonus edilizi potranno fruire esclusivamente della detrazione ripartita su più anni d’imposta in sede di dichiarazione dei redditi, non potendo più esercitare l’opzione per lo sconto in fattura o per la cessione del credito.
Il decreto in commento ha abrogato anche le disposizioni del Dl n. 63/2013, che prevedevano la possibilità di esercitare, a talune condizioni e per particolari tipologie di spese, la cessione del credito e lo sconto in fattura, già prima dell’entrata in vigore dell’articolo 121 del decreto “Rilancio”. Anche per tali interventi, pertanto, non sarà più possibile optare, in via residuale, per la cessione del credito e per lo sconto in fattura.

Le deroghe
Il documento di prassi chiarisce l’ambito applicativo delle ipotesi di deroga che il decreto “Cessioni” ha previsto, a fronte del generale divieto di opzione.
Lo sconto in fattura e la cessione del credito risulta pertanto ancora possibile:
•          per le spese sostenute e documentate dal 1° gennaio 2022 per gli interventi relativi al superamento ed eliminazione delle barriere architettoniche
•          per le spese sostenute per gli interventi ammessi al Superbonus per i quali, alla data del 16 febbraio 2023, risulti:
–  presentata la Cila, per interventi diversi da quelli effettuati dai condomìni
– adottata la delibera assembleare di approvazione dei lavori e risulti presentata la Cila, nei casi d’interventi effettuati dai condomìni
– presentata l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo, per gli interventi comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici.

Al riguardo la circolare fornisce chiarimenti anche sull’applicazione della deroga nei casi di varianti alla Cila o di interventi iniziati in data antecedente all’introduzione dell’obbligo di presentazione della Cila, precisando, inoltre, che il rispetto delle condizioni richieste deve essere effettuato con riferimento alle sole opere trainanti
• per le spese relative ai bonus diversi dal Superbonus, per i quali alla data del 16 febbraio 2023:
– risulti presentata la richiesta del titolo abilitativo, ove necessario
– siano già iniziati i lavori là dove non sia previsto il titolo abilitativo oppure, nel caso in cui non siano ancora iniziati, sia già stato stipulato un accordo vincolante tra le parti per la fornitura dei beni e dei servizi oggetto dei lavori
– risulti presentata la richiesta di titolo abilitativo per l’esecuzione degli specifici interventi di cui all’articolo 16-bis, comma 1, lettera d) e comma 3, del Tuir e all’articolo 16, comma 1-septies, del Dl n. 63/2013
•          per gli Iacp e assimilati, cooperative di abitazione a proprietà indivisa, Onlus, nonché Odv e Aps iscritte nei relativi registri
•          per gli interventi effettuati su immobili danneggiati dagli eventi sismici verificatisi dal 1° aprile 2009 in comuni per i quali è stato dichiarato lo stato di emergenza nonché quelli danneggiati dagli eventi meteorologici verificatisi nelle Marche dal 15 settembre 2022 per i quali è stato dichiarato lo stato di emergenza.

Responsabilità solidale del cessionario del credito
Il documento di prassi chiarisce inoltre il nuovo perimetro della responsabilità solidale del cessionario del credito, analizzando le ipotesi al ricorrere delle quali il fornitore o il cessionario del credito non concorrono nella violazione per colpa grave e nelle quali, quindi, non si configura la responsabilità in solido con il beneficiario della detrazione, nei casi di carenza dei presupposti costitutivi della stessa.
Al riguardo viene chiarito che, salvo la prova del dolo, il cessionario del credito d’imposta non concorre nella colpa grave qualora dimostri, congiuntamente, di aver acquisito il credito d’imposta e di essere in possesso della documentazione elencata al comma 6-bis dell’articolo 121 del decreto “Rilancio”.
La circolare precisa che il mancato possesso della documentazione non è, di per sé, indice di un coinvolgimento del cessionario per dolo o colpa grave, conservando quest’ultimo la possibilità di fornire, con ogni mezzo, prova della propria diligenza o della non gravità della negligenza.

Le nuove ipotesi di remissione in bonis
Il decreto “Cessioni” ha individuato due nuove ipotesi in cui è possibile avvalersi della remissione in bonis.
La prima ipotesi (articolo 2-ter) opera in caso di omessa o tardiva presentazione dell’asseverazione di efficacia degli interventi per la riduzione del rischio sismico, a partire dalle spese sostenute nel 2022.
In tal caso, se il contribuente intende beneficiare della detrazione, l’invio dell’asseverazione è possibile entro il termine di presentazione della prima dichiarazione dei redditi, nella quale deve essere esercitato il diritto a beneficiare della detrazione della prima quota costante dell’agevolazione. Qualora, invece, il contribuente intenda optare per lo sconto in fattura o per la cessione del credito d’imposta, l’asseverazione può essere presentata prima della presentazione della comunicazione di opzione.
La seconda ipotesi (articolo 2-quinquies) di remissione in bonis opera nel caso in cui il contribuente intenda avvalersi dell’opzione di cessione o sconto in fattura, quando la relativa comunicazione di opzione non sia stata presentata entro il 31 marzo 2023, poiché a tale data non risultava ancora concluso il contratto di cessione del credito con uno dei soggetti qualificati indicati dalla norma.
In tal caso, per le spese sostenute nel 2022 e per le rate residue non fruite riferite alle spese sostenute nel 2020 e 2021, il contribuente può avvalersi della remissione in bonis inviando la comunicazione entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile, ossia il 30 novembre 2023.
La circolare detta le istruzioni, inoltre, su modalità e tempistiche per il versamento dell’importo pari a 250 euro per ciascuna comunicazione tardiva previsto ai fini del perfezionamento della remissione in bonis.

Ulteriori precisazioni
L’Agenzia fornisce, infine, chiarimenti sul divieto di acquisto per le pubbliche amministrazioni dei crediti d’imposta derivanti dalle opzioni di sconto in fattura e cessione del credito, nonché sulla facoltà, per il cessionario del credito che non abbia la capienza per utilizzare in compensazione la quota annuale di credito d’imposta acquistato, di ripartire detta quota in ulteriori dieci rate annuali di pari importo.

I correttivi della Riforma dello Sport pubblicati in Gazzetta Ufficiale

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Roma 7 sett 2023 – È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.206 del 04/09/2023 il Decreto Legislativo in tema di enti e lavoratori sportivi, che interviene con modifiche sui precedenti decreti legislativi 28 febbraio 2021, nn. 36, 37, 38, 39 e 40 attuativi della riforma dello sport (Legge delega n. 86 2019).

Il Decreto costituisce uno strumento significativo nella promozione e nello sviluppo dello sport in Italia ed è il risultato di un lungo processo di consultazione e collaborazione con gli stakeholder del mondo dello sport, tra cui atleti, federazioni sportive, organizzazioni non profit e altri attori chiave.

L’obiettivo principale di questa riforma è quello di creare un ambiente sportivo più equo, sostenibile ed inclusivo per tutti i cittadini italiani.

Una riforma che da una parte riconosce diritti e dignità al lavoro sportivo e dall’altra consente ai datori di lavoro di vedere semplificati gli adempimenti, costruita sui tre pilastri delle tutele, della semplificazione e della trasparenza.

“Ora – spiega il dottore commercialista Lamberto Mattei – occorre attivare monitoraggi sugli effetti applicativi e proporre soluzioni normative alle criticità riscontrate”.

Società estinte, Cassazione: “soci responsabili dei debiti fiscali”

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Roma 5 sett 2023 – In caso di cancellazione di una società a responsabilità limitata a ristretta base partecipativa dal registro delle imprese, i soci diventano responsabili dei debiti maturati dalla Srl nei confronti dell’Erario anche se non hanno ricevuto utili in sede di liquidazione. Corretta, quindi, la pretesa tributaria dell’ufficio basata su una serie di presunzioni gravi, precise e concordanti.
È quanto afferma la Cassazione con l’ordinanza n. 20840 del 18 luglio 2023.

La controversia processuale ha preso le mosse dai ricorsi, proposti da quattro contribuenti (ricoprenti, a vario titolo, qualifiche di soci e legali rappresentanti di corrispondenti società) avverso avvisi di accertamento per maggiori imposte relative all’anno di imposta 2006.

Le impugnazioni venivano parzialmente accolte dalla Ctp di Padova il cui esito, appellato dinanzi la Commissione tributaria regionale del Veneto, veniva ribaltato con il rigetto del gravame di parte e l’accoglimento di quello incidentale dell’ufficio.

In particolare, i giudici di seconde cure, dopo aver affermato che, a seguito dell’estinzione della Srl “Alfa”, i soci succedevano ad essa nei debiti tributari verso l’Erario e che anche il liquidatore della società era responsabile nei confronti del fisco, in quanto consapevole di aver posto in essere operazioni economiche con lo scopo di sottrarre all’imposizione una parte degli utili conseguiti dalla società, riconoscevano la fondatezza della pretesa tributaria, basata su una serie di presunzioni gravi, precise e concordanti.

Inoltre, il comportamento antieconomico della società, lo scostamento dal valore normale del prezzo di vendita degli immobili, la differenza tra tale prezzo e quello di immobili similari, risultante da preliminari di compravendita, perizie di stima e corrispondenza con istituti bancari, costituivano elementi che rendevano legittimo, secondo la Ctr, la determinazione da parte dell’ufficio del prezzo di vendita in un importo pari al valore normale dei beni.
Infine, la stessa Commissione tributaria regionale riteneva applicabile al caso la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili della Srl a ristretta base e la non necessità che fosse divenuta definitiva la sentenza emessa nei confronti della società in controversia relativa all’accertamento di tali utili.

I contribuenti impugnavano la sentenza in Cassazione sulla base di quattro motivi ai quali replicava l’ufficio con controricorso.
I giudici di legittimità, con l’ordinanza in commento, hanno rigettato i ricorsi di parte condannando i contribuenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità a favore dell’Erario.
In particolare, la Cassazione ha affrontato e deciso su una serie di principi di diritto che, nel corso del tempo, si sono affastellati nell’ambito delle vicende controverse portate al suo vaglio.

La responsabilità dei liquidatori e degli amministratori per le imposte non pagate con le attività della liquidazione, prevista dall’articolo 36 del Dpr n. 602/1973, è una fattispecie autonoma che sussiste in presenza dei requisiti normativi e non prevede alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari per effetto della cancellazione della società dal registro delle imprese.
Nel caso specifico, la Ctr ha ritenuto che si fossero realizzati i requisiti di legge previsti dal citato articolo 36 nei confronti del liquidatore (a sua volta socio de “La Beta” Srl, che deteneva il 66,67% di “Alfa” Srl).
Per quanto riguardava la responsabilità dei soci, la stessa Commissione regionale ha affermato che, nel caso di estinzione della società, il socio resta responsabile per l’intero debito tributario in contestazione, in base al fenomeno successorio tra la società estinta e i soci (ex articolo 2495 cc) e ciò indipendentemente dall’attribuzione di utili in sede di liquidazione.

Secondo l’indirizzo prevalente della Corte suprema, l’utile partecipazione alla distribuzione dell’attivo liquidato non costituisce presupposto costitutivo della successione del socio: la tesi, affacciatasi in alcune pronunce successive alle pronunce del 2013 nn. 6070 e 6071 delle sezioni unite (in particolare, Cassazione, n. 13259/2015, n. 23916/2016, n. 2444/2017, n. 15474/2017), si pone in realtà non in linea con l’insegnamento della Cassazione, come correttamente evidenziato, anzitutto, dalle pronunce n. 5988/2017 nonché da n. 9094/2017, che sottolinea come il socio sia comunque destinato a subentrare nella posizione debitoria e che addirittura la mancata utile partecipazione, ut supra, non consenta neanche di escludere a priori lo stesso interesse ad agire del creditore (si veda anche Cassazione n. 20358/2015: il fenomeno successorio non può essere escluso in base al solo esame del bilancio di liquidazione; vedi anche Cassazione n. 15035/2017, n. 9672/2018; n. 14446/2018; n. 897/2019; n. 12758/2020 e, da ultimo, a sezioni unite, pronunce n. 619/2021, n. 31904/2021,  n. 10337/2021 e n. 10678/2022).

Le stesse sezioni unite con la pronuncia n. 6071/2013, prima citata, hanno affermato, tra l’altro, che “quando il debitore è un ente collettivo, non v’è ragione per ritenere che la sua estinzione (…) non dia ugualmente luogo ad un fenomeno di tipo successorio, sia pure sui generis, che coinvolge i soci ed è variamente disciplinato dalla legge a seconda del diverso regime di responsabilità da cui, pendente societate, erano caratterizzati i pregressi rapporti sociali. Nessun ingiustificato pregiudizio viene arrecato alle ragioni dei creditori, del resto, per il fatto che i soci di società di capitali rispondono solo nei limiti dell’attivo loro distribuito all’esito della liquidazione”.

Pertanto, nel caso in esame, in cui si controverte della distribuzione degli utili extrabilancio della società a ristretta base partecipativa, la statuizione del giudice di appello risulta condivisibile, in quanto l’Amministrazione finanziaria può agire contro gli ex soci di una società estinta anche se non hanno percepito utili in sede di liquidazione dell’ente.

Infatti, la possibilità di sopravvenienze attive o l’esistenza di diritti non contemplati nel bilancio finale giustificano l’interesse dell’Agenzia delle entrate a procurarsi un titolo in considerazione della natura dinamica dello stesso interesse (Cassazione, n. 10337/2021, n. 10678/2022 e n. 26758/2022, che ha enunziato il principio che va ribadito, secondo cui “in tema di società di capitali a ristretta base partecipativa, l’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, determinando un fenomeno di tipo successorio, non fa venir meno l’interesse dei creditori sociali (nella specie, l’Agenzia delle Entrate) ad agire ed a procurarsi un titolo nei confronti dei soci della società estinta, a prescindere dall’utile partecipazione di essi alla ripartizione finale, potendo comunque residuare beni e diritti (nella specie, utili extracontabili) che, ancorché non ricompresi nel bilancio finale di liquidazione, si sono trasferiti ai soci»).

Come correttamente rilevato dall’Agenzia delle entrate, il Collegio di piazza Cavour ha avuto modo di precisare che “La presunzione di riparto degli utili extrabilancio tra i soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa, non è neutralizzata dallo schermo della personalità giuridica, ma estende la sua efficacia a tutti i gradi di organizzazione societaria per i quali si riscontri la ristrettezza della compagine sociale, operando il principio generale del divieto dell’abuso del diritto, che trova fondamento nei principi costituzionali di capacità contributiva e di eguaglianza, nonché nella tendenza all’oggettivazione del diritto commerciale ed all’attribuzione di rilevanza giuridica all’impresa, indipendentemente dalla forma giuridica assunta dal suo titolare. (Fattispecie relativa a società a responsabilità limitata partecipata per il 10 per cento da un socio e per il 90 per cento da una società per azioni, della quale erano soci, al 5 per cento, la persona fisica già socia della società a responsabilità limitata e, per il 95 per cento, il coniuge)» (Cass. 13338/2009).

Sulla legittimità di tale presunzione, questa Corte ha costantemente ritenuto che “l’accertata dichiarazione o esposizione in bilancio di costi fittizi, da parte di una società di capitali a ristretta base partecipativa, è di per sé sufficiente a far presumere l’esistenza di un maggior reddito imponibile in misura pari ai costi fittiziamente dichiarati, senza alcuna necessità per l’amministrazione finanziaria di dimostrare che dal maggior reddito siano derivati maggiori utili distribuibili ai soci, e ferma restando la possibilità, per il contribuente, di fornire la prova contraria” (Cassazione n. 10679/2022).
Pertanto, il fatto che nella compagine sociale della società a ristretta base “Alfa” Srl vi sia un’altra società a responsabilità limitata (la “Beta” Srl), a sua volta a ristretta base, non esclude la presunzione di riparto degli utili extrabilancio tra i soci.

Bonus librerie, in scadenza il termine per presentare le richieste

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Roma 1 sett 2023 – È prossima la scadenza la data per accedere  al tax credit librerie per l’anno 2022. Le domande, , possono essere presentate dalle ore 9 dell’11 settembre e fino alle 12 del 31 ottobre 2023, esclusivamente attraverso l’apposito portale, previa registrazione. Chi ha effettuato l’accesso nello scorso anno deve in ogni caso rinnovare l’abilitazione.

Primi destinatari, i piccoli librai
L’agevolazione, introdotta dalla legge di bilancio 2018 (articolo 1, commi da 319 a 321) è destinata agli esercenti del settore della vendita al dettaglio di libri, nuovi o usati, in esercizi specializzati, con un particolare occhio di riguardo nei confronti dei piccoli librai. Il bonus, infatti, arriva fino a 20mila euro per le librerie indipendenti, non appartenenti a gruppi editoriali, mentre per gli altri il limite massimo è di 10mila euro.

Contributo rapportato ai tributi locali
Il credito d’imposta, prevede la norma, è parametrato, per ogni punto vendita, alle spese sostenute per i locali in cui l’attività agevolata è svolta, a titolo di Imu, Tasi, Tari, imposta sulla pubblicità, tassa per l’occupazione del suolo pubblico, locazione (al netto dell’Iva), mutui e contributi previdenziali e assistenziali versati per il personale dipendente. Come ricordato dalla circolare dell’Agenzia delle entrate n. 14/2022, va considerato che la Tasi non è più in vigore e che l’imposta sulla pubblicità e la tassa di occupazione del suolo pubblico sono confluite nel canone patrimoniale di concessione autorizzazione o esposizione pubblicitaria (canone unico) che riunisce, pertanto, in una sola forma di prelievo le entrate relative all’occupazione di aree pubbliche e alla diffusione di messaggi pubblicitari. Le regole per l’assegnazione del credito massimo sono definite nell’allegato al decreto interministeriale 23 aprile 2018 attuativo della misura, in particolare: nella Tabella 1 è indicato il massimale per ogni voce di spesa, nella Tabella 2 la percentuale valida per quantificare il credito d’imposta teorico spettante in relazione alle voci di costo utilizzate.

Tra i requisiti, la sede in Italia e la vendita di libri come attività primaria
Presupposti di accesso al beneficio sono:

  • sede legale nello Spazio economico europeo
  • residenza fiscale o stabile organizzazione in Italia con riferimento all’attività commerciale agevolata
  • classificazione Ateco principale 47.61 (libri nuovi) o 47.79.1 (libri usati), come risultante dal registro delle imprese al momento di presentazione della domanda
  • avere avuto nell’esercizio finanziario precedente ricavi derivanti da cessione di libri, anche usati, pari ad almeno il 70% dei ricavi complessivamente dichiarati.

Il bonus viaggia con l’F24
Il credito d’imposta può essere utilizzato solo in compensazione presentando il modello F24 esclusivamente attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate, pena lo scarto dell’operazione di versamento (codice tributo “6894”).
Il contributo ricevuto deve essere indicato sia nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di riconoscimento del credito sia in quella relativa al periodo di imposta in cui la somma è utilizzata, evidenziando distintamente l’importo riconosciuto e maturato e quello speso.

La direzione generale Biblioteche e Diritto d’autore ricorda che anche quest’anno il richiedente deve specificare la dimensione dell’impresa (micro, piccola, media, grande). Per avere istruzioni dettagliate, sul sito della Dg è disponibile la guida alla compilazione della domanda. La pubblicazione, tuttavia, precisa l’avviso online, è a solo scopo esemplificativo e potrebbe differire lievemente, nella forma grafica e in alcune denominazioni rispetto alla domanda attualmente in rete.

Nuovo regime Iva nello sport: caratteristiche e adempimenti (di Lamberto Mattei)

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Roma 30 ago 2023 – In un precedente intervento sulla rivista Fiscoetasse,  avevamo posto in evidenza come, dal 1° gennaio 2024, a norma dell’art. 5, comma 15-quater, lett. b), n. 2), del D.L. n. 146/2021, sarebbero state da considerate esenti (con applicazione dell’art. 10 D.P.R. n. 633/19721 ) tutte le prestazioni di servizi rese dalle ASD «strettamente connesse con la pratica dello sport o
educazione fisica», comprese quelle svolte a favore di soggetti non tesserati.

In particolare, si evidenziava come tale nuova previsione fosse stata prevista al fine di allineare la disciplina Iva alla normativa UE e come, ad ogni modo, la stessa facesse riferimento solamente alle ASD, tralasciando ogni riferimento anche alle Società sportive dilettantistiche (SSD) che, come sappiamo, sono assimilate alle prime in termini di finalità, obiettivi e
trattamento giuridico di favore. Con estrema solerzia, va sottolineato, anche a seguito di talune osservazioni sollevate dalle categorie di operatori maggiormente rappresentative del settore, la Legge 10 agosto 2023, n. 112, di conversione in legge del D.L. 22 giugno 2023, n. 75 (cd. decreto PA-bis), ha inserito l’art. 36-bis al citato D.L. n. 75/2023 – già in vigore alla data del 17 agosto u.s. – che, sostanzialmente riconduce tutti i servizi connessi con la pratica sportiva, ivi inclusi quelli didattici e formativi, nel regime di esenzione Iva.

La nuova norma, che si caratterizza anche per i connotati di disposizione di interpretazione autentica, stabilisce, al comma 1, che “Le prestazioni di servizi strettamente connessi con la pratica dello sport, compresi quelli didattici e formativi, rese nei confronti delle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica da parte di organismi senza fine di lucro, compresi gli enti sportivi dilettantistici di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, sono esenti dall’imposta sul valore aggiunto.”

Inoltre, il comma 2 della disposizione in commento, precisa che: “Le prestazioni dei servizi didattici e formativi di cui al comma 1, rese prima della data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, si intendono comprese nell’ambito di applicazione dell’articolo 10, primo comma, numero 20), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.

IL NUOVO REGIME DI ESENZIONE IVA DELLO SPORT
Il primo comma della disposizione, come accennato, ha la finalità di rettificare la disposizione
di cui all’art. 5, comma 15-quater, del D.L. n. 146/2021, destinata ad entrare in vigore il 1°
1 Mentre prima erano “fuori campo” Iva ex art. 4, comma 4, decreto Iva.
luglio 2024 (a seguito della proroga disposta a mente del D.L. n. 51/2023) che, come
accennato, nel riordinare il sistema Iva degli enti non commerciali, in attuazione alla procedura
di infrazione Ue n. 2008/2010, aveva ricondotto nel regime di esenzione le prestazioni svolte
dalle sole ASD.
Va rilevato come la predetta procedura d’infrazione abbia avuto ad oggetto il “Non corretto
recepimento della Direttiva 2006/112/CE (Direttiva IVA)” e abbia preso le mosse dal
presupposto che alcune norme del D.P.R. n. 633/1972 (tra le quali l’art. 4) sono risultate in
contrasto con la disciplina comunitaria, avendo queste escluso dall’applicazione dell’imposta
alcune operazioni che dovrebbero esserne “assoggettate” o, quantomeno, “esentate”.
Si evidenzia che la norma parla di prestazioni di servizi “strettamente connessi” compresi i
servizi didattici e di formazione con la conseguenza che appare inevitabile l’assimilazione alla
classificazione operata, in chiave sistematica, dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 18/E
del 2018 tra attività commerciali “strutturalmente funzionali” all’attività sportiva dilettantistica
e quelle non connotate da tale requisito.
Rientrano trai proventi delle attività commerciali connesse con gli scopi istituzionali, secondo
l’Agenzia delle entrate, i proventi delle attività commerciali strutturalmente funzionali
all’attività sportiva dilettantistica tra i quali, a titolo esemplificativo, possono annoverarsi i
proventi derivanti dalla somministrazione di alimenti e bevande effettuata nel contesto dello
svolgimento dell’attività sportiva dilettantistica, dalla vendita di materiali sportivi, di gadget
pubblicitari, dalle sponsorizzazioni, dalle cene sociali, dalle lotterie, ecc.
Secondo l’Agenzia delle entrate, l’attività connessa agli scopi istituzionali è quella che
costituisce il naturale completamento degli scopi specifici e particolari che caratterizzano l’ente
sportivo dilettantistico senza scopo di lucro2
.
Il nuovo regime riguarda le prestazioni di servizi, ma è chiaro che le cessioni di beni accessorie
alle stesse prestazioni (es., la messa a disposizione di attrezzature, strumenti tecnici,
protezioni, ecc…) seguono lo stesso regime della prestazione principale (vgs. art. 12 D.P.R. n.
633/1972.
Altra riflessione concerne il fatto che la disposizione, per quanto già rilevato, non può riferirsi
alle prestazioni di pubblicità e sponsorizzazione. Peraltro, la presenza di un intento
pubblicitario o di sponsorizzazione determina l’esclusione dal regime agevolativo come chiarito
con la citata circolare n. 18/E del 2018, secondo cui non possono essere considerate attività
commerciali connesse con gli scopi istituzionali quelle dirette alla vendita di beni o alla
prestazione di servizi per le quali l’ente si avvalga di strumenti pubblicitari o comunque di
diffusione di informazioni a soggetti terzi, diversi dagli associati, ovvero utilizzi altri strumenti
propri degli operatori di mercato come, ad esempio, insegne, marchi distintivi, o locali
2
Sono da escludere quindi dalle attività connesse agli scopi istituzionali, secondo l’Amministrazione finanziaria,
le prestazioni relative, ad al bagno turco e all’idromassaggio in quanto dette prestazioni non si pongono
direttamente come naturale completamento dell’attività sportiva, potendo le stesse invece, essere rese anche
separatamente e indipendentemente dall’esercizio di detta attività. Diversamente, rientrano nel perimetro
agevolativo, l’utilizzo dei campi da gioco, degli spogliatoi, degli armadietti e di altre strutture/beni dell’ente
sportivo dilettantistico non lucrativo, purché tali prestazioni siano strettamente finalizzate alla pratica sportiva
così come delineata dai programmi dell’dai programmi dell’organismo affiliante (Federazione Sportiva
Nazionale, Ente di affiliante (Federazione Sportiva Nazionale, Ente di Promozione Sportiva, Disciplina Sportiva
Associata).Promozione Sportiva, Disciplina Sportiva Associata).
attrezzati secondo gli standard concorrenziali di mercato, al fine di acquisire una clientela
estranea all’ambito associativo.
LE ATTIVITA’ FORMATIVE
Il secondo comma della norma, invece, è palesemente diretto a chiarire l’ambito applicativo
dell’esenzione di cui all’art. 10, comma 1, n. 20, del decreto Iva concernente “le prestazioni
educative dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la
formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti
o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da enti del Terzo settore di natura non
commerciale(…)” a seguito di talune criticità sollevate dalla giustizia comunitaria.
Nel merito, la Corte di Giustizia UE, con la sentenza causa C-319/12 del 28 novembre 2013,
nell’interpretare l’art. 132, par. 1, lett. i) della Direttiva 2006/112/CE, ha precisato, tra l’altro,
che “i servizi educativi e formativi” di qualsiasi genere, ivi compresi quelli diretti
all’insegnamento di pratiche sportive, “sono esentati solo se effettuati da enti di diritto
pubblico aventi uno scopo di istruzione o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro
interessato aventi finalità simili, sempre che questi organismi privati perseguano finalità simili
a quelle degli organismi pubblici”.
La nuova diposizione, dunque, supera l’impostazione, peraltro diffusamente perseguita
dall’Agenzia delle entrate in alcune posizioni di prassi3
, secondo cui determinate attività
formative di carattere sportivo, sebbene praticate da Associazioni sportive dilettantistiche, non
possono essere riconducibili nell’ambito dell’esenzione dall’IVA, in quanto, fermo restando
l’eventuale sussistenza del requisito soggettivo da parte dell’ente riconosciuto dalla
Federazione di competenza, risulterebbero carenti del presupposto oggettivo riferito alla
definizione e qualificazione della nozione “di insegnamento scolastico o universitario” ai sensi
dell’art. 132, par. 1, lett. i) e j), della Direttiva 2006/112, che, secondo la giurisprudenza della
Corte di Giustizia UE deve essere connotato dalla diffusione di “un sistema integrato di
conoscenze e competenze avente ad oggetto un insieme ampio e diversificato di materie,
nonché all’approfondimento e allo sviluppo di tali conoscenze e di tali competenze da parte
degli allievi e degli studenti”.
CONCLUSIONI
In definitiva, il nuovo regime di esenzione Iva si inserisce in via sostitutiva rispetto alla regola
della esclusione del campo di applicazione dell’imposta con la conseguenza che, rispetto alla
previgente situazione (nel caso in cui per l’ente era sufficiente emettere – più per ragioni di
opportunità e di controllo di gestione interno che per obbligo di legge – una ricevuta non
fiscale per le quote ricevute), di assoggettare i soggetti destinatari della previsione a tutti gli
adempimenti previsti dal D.P.R. n. 633/1972, quali l’emissione di scontrino o fattura, la tenuta
dei registri Iva, la comunicazione delle liquidazioni periodiche, la dichiarazione Iva, la tenuta
3 Cfr., a titolo esemplificativo, Risposte a Interpello nn. 393/2022, 162/2020.
della contabilità separata), salvo l’esercizio dell’opzione per la dispensa dagli adempimenti Iva
ex art. 36-bis (esclusiva presenza di operazione esenti)4
.
È una novità importante per il mondo sportivo giacché attualmente la maggior parte delle
entrate in questione (corrispettivi specifici e quote supplementari) rientra nel regime di
esclusione Iva previsto dall’art. 4 del decreto Iva.

Auto elettriche ai dipendenti: tassati i rimborsi per le ricariche

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ROMA 28 AGO 2023 – I rimborsi erogati dal datore di lavoro ai propri dipendenti, per le spese di energia elettrica finalizzate alla ricarica degli autoveicoli assegnati in uso promiscuo, costituiscono reddito di lavoro dipendente da assoggettare a tassazione. Non rientrano, infatti, nelle deroghe al principio di onnicomprensività del reddito stabilite dall’articolo 51 del Tuir.

Lo afferma l’Agenzia delle entrate con la risposta n. 421 del 25 agosto 2023, fornita ad una società, la quale assegna ai propri dipendenti, in uso promiscuo, autovetture a trazione integralmente elettrica o ibrida, per le quali intende riconoscere, agli stessi dipendenti, il rimborso delle spese sostenute per la ricarica elettrica del veicolo assegnato effettuata presso la propria abitazione.
La società, in particolare, ritiene che le spese in argomento, da quantificare con criteri oggettivi, debbano essere escluse da imposizione fiscale (ex articolo 51, comma 4 lettera a), del Tuir) se rimborsate dall’azienda, in quanto costituiscono anticipazione per conto del datore di lavoro.
Inoltre, a parere dell’istante, anche gli oneri sostenuti dagli assegnatari per il costo delle infrastrutture (wallbox, colonnine di ricarica, contatore a defalco), se rimborsati dall’azienda, devono essere esclusi da tassazione.

L’Agenzia, dopo aver ricordato che il richiamato articolo 51, in generale, sancisce il ”principio di onnicomprensività” del reddito di lavoro dipendente, in base al quale sia gli emolumenti in denaro sia i valori corrispondenti ai beni, ai servizi e alle opere “offerti” dal datore di lavoro ai propri dipendenti costituiscono redditi imponibili e, in quanto tali, concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente, ammette che la stessa disposizione individua, tuttavia, specifiche deroghe al principio di onnicomprensività, elencando le componenti reddituali che non concorrono a formare la base imponibile o vi concorrono solo in parte.

Crisi d’impresa, nuovi limiti per il ricorso all’omologa forzosa (cram down)

By | Approfondimenti | No Comments

Roma 24 ago 2023 – La disciplina della transazione dei crediti fiscali e contributivi contenuta nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII – Dlgs n. 14/2019) prevede che il debitore possa proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali e dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie (Inps e Inail).
È possibile quindi che tale proposta non trovi l’adesione dei creditori pubblici, in tale ipotesi, è lo stesso Codice a prevedere, all’articolo 63, il rimedio dell’omologa forzosa (cram down) che consente al tribunale, verificata la sussistenza di determinate condizioni, di procedere all’omologa della proposta presentata dal debitore, anche in assenza della predetta adesione.

Il verificarsi nella pratica di omologhe forzose di accordi di ristrutturazione particolarmente penalizzanti per i grandi creditori istituzionali (con il riconoscimento a favore di quest’ultimi di percentuali di soddisfacimento irrisorie) ha portato il legislatore a intervenire sul fenomeno per ricondurlo a “valori” accettabili.
Con un emendamento al Dl n. 69/2023 è stato così introdotto l’articolo 1-bis, il quale al primo comma stabilisce che, fino alla data di entrata in vigore del correttivo dell’articolo 63 del CCII, non trovi applicazione quanto disposto dal comma 2, ultimo periodo, e comma 2-bis del citato articolo 63.

La novella legislativa, che comunque non interviene sulla disciplina della transazione fiscale proposta nel concordato preventivo, la quale rimane invariata, ha dunque fissato le condizioni che devono ricorrere congiuntamente, affinché il tribunale possa procedere all’omologazione forzosa degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 57 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

La disposizione, nel dettaglio, prevede che:

  • l’adesione del creditore pubblico sia determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali richieste dagli articoli 57, comma 1 (60% dei crediti per gli accordi di ristrutturazione “ordinari”), e 60, comma 1, (30% dei crediti per gli accordi di ristrutturazione agevolati) del CCII
  • la proposta di soddisfacimento dell’Amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie, tenuto conto delle risultanze della relazione del professionista indipendente, sia conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria e tale circostanza costituisca oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale in sede di omologa.

In aggiunta a tali requisiti, vengono tuttavia fissate ulteriori condizioni, in grado di ridurre significativamente i casi di accordi potenzialmente omologabili in via forzosa, nonché di influenzare il contenuto delle future proposte presentate:

  • gli accordi non devono avere natura liquidatoria. La possibilità del cram down, pertanto, è prevista solo qualora il piano di risanamento preveda la continuità aziendale. Evidente in ciò il favor verso la conservazione dell’impresa, bene da tutelare nell’interesse non solo dei creditori, ma anche del debitore, dei lavoratori e del sistema economico nel suo complesso.
  • il credito complessivo vantato dagli altri creditori aderenti agli accordi di ristrutturazione deve essere pari ad almeno un quarto dell’importo complessivo dei crediti
  • il soddisfacimento dei crediti dell’Amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie deve essere pari almeno al 30% dell’ammontare dei rispettivi crediti, sanzioni e interessi inclusi.

Oltre a prevedere che vi siano altri creditori aderenti e che gli stessi siano rappresentativi di un credito significativo (pari ad almeno il 25% del totale dei crediti), viene stabilita, pertanto, una soglia minima (in percentuale rispetto all’importo del credito), al di sotto della quale l’offerta del debitore viene ritenuta troppo esigua e tale da escludere la possibilità di omologa forzosa da parte del tribunale.

È stata, inoltre, disciplinata anche l’eventualità in cui in cui l’ammontare complessivo dei crediti vantati dagli altri creditori aderenti sia inferiore a un quarto dell’importo complessivo dei crediti. In tal caso, è previsto che possa farsi luogo al cram down, fermo restando il rispetto delle altre condizioni, solo se il soddisfacimento dei crediti dei creditori pubblici non sia inferiore al 40% dell’ammontare dei rispettivi crediti, inclusi sanzioni e interessi. In tale eventualità, è stata posta altresì l’ulteriore condizione che la dilazione di pagamento richiesta non ecceda il periodo di 10 anni.
In sostanza, i commi 2 e 3 dell’articolo 1-bis individuano due differenti soglie che segnano i limiti di soddisfazione dei crediti dell’Amministrazione finanziaria e previdenziale nelle transazioni fiscali che si inseriscono in un accordo di ristrutturazione.

Vengono poi dettate ulteriori disposizioni che, seppur non riferite ai presupposti del cram down, ma piuttosto al procedimento di omologazione, presentano comunque importanti risvolti pratici (commi 4 e 5).
In primo luogo, a favore della parte pubblica, viene fissato, in capo al debitore che proceda al deposito della domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione con annessa transazione fiscale, l’obbligo di avvisare i creditori istituzionali dell’avvenuta iscrizione della domanda nel registro delle imprese.
La comunicazione va fatta tramite posta elettronica certificata all’Amministrazione finanziaria e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale dell’istante. Dalla ricezione dell’avviso decorre, per gli uffici, il termine di 30 giorni previsto dall’articolo 48, comma 4, del CCII, per proporre opposizione alla richiesta di omologa.

Infine, viene stabilito che l’eventuale adesione alla proposta di transazione debba intervenire entro 90 giorni decorrenti dal deposito della stessa (comma 5) e, all’ultimo comma, che la disciplina transitoria introdotta si applichi retroattivamente anche alle proposte di transazione fiscale depositate in data successiva all’entrata in vigore del decreto (avvenuta il 13 giugno 2023).