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Agosto 2023

Nuovo regime Iva nello sport: caratteristiche e adempimenti (di Lamberto Mattei)

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Roma 30 ago 2023 – In un precedente intervento sulla rivista Fiscoetasse,  avevamo posto in evidenza come, dal 1° gennaio 2024, a norma dell’art. 5, comma 15-quater, lett. b), n. 2), del D.L. n. 146/2021, sarebbero state da considerate esenti (con applicazione dell’art. 10 D.P.R. n. 633/19721 ) tutte le prestazioni di servizi rese dalle ASD «strettamente connesse con la pratica dello sport o
educazione fisica», comprese quelle svolte a favore di soggetti non tesserati.

In particolare, si evidenziava come tale nuova previsione fosse stata prevista al fine di allineare la disciplina Iva alla normativa UE e come, ad ogni modo, la stessa facesse riferimento solamente alle ASD, tralasciando ogni riferimento anche alle Società sportive dilettantistiche (SSD) che, come sappiamo, sono assimilate alle prime in termini di finalità, obiettivi e
trattamento giuridico di favore. Con estrema solerzia, va sottolineato, anche a seguito di talune osservazioni sollevate dalle categorie di operatori maggiormente rappresentative del settore, la Legge 10 agosto 2023, n. 112, di conversione in legge del D.L. 22 giugno 2023, n. 75 (cd. decreto PA-bis), ha inserito l’art. 36-bis al citato D.L. n. 75/2023 – già in vigore alla data del 17 agosto u.s. – che, sostanzialmente riconduce tutti i servizi connessi con la pratica sportiva, ivi inclusi quelli didattici e formativi, nel regime di esenzione Iva.

La nuova norma, che si caratterizza anche per i connotati di disposizione di interpretazione autentica, stabilisce, al comma 1, che “Le prestazioni di servizi strettamente connessi con la pratica dello sport, compresi quelli didattici e formativi, rese nei confronti delle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica da parte di organismi senza fine di lucro, compresi gli enti sportivi dilettantistici di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, sono esenti dall’imposta sul valore aggiunto.”

Inoltre, il comma 2 della disposizione in commento, precisa che: “Le prestazioni dei servizi didattici e formativi di cui al comma 1, rese prima della data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, si intendono comprese nell’ambito di applicazione dell’articolo 10, primo comma, numero 20), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.

IL NUOVO REGIME DI ESENZIONE IVA DELLO SPORT
Il primo comma della disposizione, come accennato, ha la finalità di rettificare la disposizione
di cui all’art. 5, comma 15-quater, del D.L. n. 146/2021, destinata ad entrare in vigore il 1°
1 Mentre prima erano “fuori campo” Iva ex art. 4, comma 4, decreto Iva.
luglio 2024 (a seguito della proroga disposta a mente del D.L. n. 51/2023) che, come
accennato, nel riordinare il sistema Iva degli enti non commerciali, in attuazione alla procedura
di infrazione Ue n. 2008/2010, aveva ricondotto nel regime di esenzione le prestazioni svolte
dalle sole ASD.
Va rilevato come la predetta procedura d’infrazione abbia avuto ad oggetto il “Non corretto
recepimento della Direttiva 2006/112/CE (Direttiva IVA)” e abbia preso le mosse dal
presupposto che alcune norme del D.P.R. n. 633/1972 (tra le quali l’art. 4) sono risultate in
contrasto con la disciplina comunitaria, avendo queste escluso dall’applicazione dell’imposta
alcune operazioni che dovrebbero esserne “assoggettate” o, quantomeno, “esentate”.
Si evidenzia che la norma parla di prestazioni di servizi “strettamente connessi” compresi i
servizi didattici e di formazione con la conseguenza che appare inevitabile l’assimilazione alla
classificazione operata, in chiave sistematica, dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 18/E
del 2018 tra attività commerciali “strutturalmente funzionali” all’attività sportiva dilettantistica
e quelle non connotate da tale requisito.
Rientrano trai proventi delle attività commerciali connesse con gli scopi istituzionali, secondo
l’Agenzia delle entrate, i proventi delle attività commerciali strutturalmente funzionali
all’attività sportiva dilettantistica tra i quali, a titolo esemplificativo, possono annoverarsi i
proventi derivanti dalla somministrazione di alimenti e bevande effettuata nel contesto dello
svolgimento dell’attività sportiva dilettantistica, dalla vendita di materiali sportivi, di gadget
pubblicitari, dalle sponsorizzazioni, dalle cene sociali, dalle lotterie, ecc.
Secondo l’Agenzia delle entrate, l’attività connessa agli scopi istituzionali è quella che
costituisce il naturale completamento degli scopi specifici e particolari che caratterizzano l’ente
sportivo dilettantistico senza scopo di lucro2
.
Il nuovo regime riguarda le prestazioni di servizi, ma è chiaro che le cessioni di beni accessorie
alle stesse prestazioni (es., la messa a disposizione di attrezzature, strumenti tecnici,
protezioni, ecc…) seguono lo stesso regime della prestazione principale (vgs. art. 12 D.P.R. n.
633/1972.
Altra riflessione concerne il fatto che la disposizione, per quanto già rilevato, non può riferirsi
alle prestazioni di pubblicità e sponsorizzazione. Peraltro, la presenza di un intento
pubblicitario o di sponsorizzazione determina l’esclusione dal regime agevolativo come chiarito
con la citata circolare n. 18/E del 2018, secondo cui non possono essere considerate attività
commerciali connesse con gli scopi istituzionali quelle dirette alla vendita di beni o alla
prestazione di servizi per le quali l’ente si avvalga di strumenti pubblicitari o comunque di
diffusione di informazioni a soggetti terzi, diversi dagli associati, ovvero utilizzi altri strumenti
propri degli operatori di mercato come, ad esempio, insegne, marchi distintivi, o locali
2
Sono da escludere quindi dalle attività connesse agli scopi istituzionali, secondo l’Amministrazione finanziaria,
le prestazioni relative, ad al bagno turco e all’idromassaggio in quanto dette prestazioni non si pongono
direttamente come naturale completamento dell’attività sportiva, potendo le stesse invece, essere rese anche
separatamente e indipendentemente dall’esercizio di detta attività. Diversamente, rientrano nel perimetro
agevolativo, l’utilizzo dei campi da gioco, degli spogliatoi, degli armadietti e di altre strutture/beni dell’ente
sportivo dilettantistico non lucrativo, purché tali prestazioni siano strettamente finalizzate alla pratica sportiva
così come delineata dai programmi dell’dai programmi dell’organismo affiliante (Federazione Sportiva
Nazionale, Ente di affiliante (Federazione Sportiva Nazionale, Ente di Promozione Sportiva, Disciplina Sportiva
Associata).Promozione Sportiva, Disciplina Sportiva Associata).
attrezzati secondo gli standard concorrenziali di mercato, al fine di acquisire una clientela
estranea all’ambito associativo.
LE ATTIVITA’ FORMATIVE
Il secondo comma della norma, invece, è palesemente diretto a chiarire l’ambito applicativo
dell’esenzione di cui all’art. 10, comma 1, n. 20, del decreto Iva concernente “le prestazioni
educative dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la
formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti
o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da enti del Terzo settore di natura non
commerciale(…)” a seguito di talune criticità sollevate dalla giustizia comunitaria.
Nel merito, la Corte di Giustizia UE, con la sentenza causa C-319/12 del 28 novembre 2013,
nell’interpretare l’art. 132, par. 1, lett. i) della Direttiva 2006/112/CE, ha precisato, tra l’altro,
che “i servizi educativi e formativi” di qualsiasi genere, ivi compresi quelli diretti
all’insegnamento di pratiche sportive, “sono esentati solo se effettuati da enti di diritto
pubblico aventi uno scopo di istruzione o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro
interessato aventi finalità simili, sempre che questi organismi privati perseguano finalità simili
a quelle degli organismi pubblici”.
La nuova diposizione, dunque, supera l’impostazione, peraltro diffusamente perseguita
dall’Agenzia delle entrate in alcune posizioni di prassi3
, secondo cui determinate attività
formative di carattere sportivo, sebbene praticate da Associazioni sportive dilettantistiche, non
possono essere riconducibili nell’ambito dell’esenzione dall’IVA, in quanto, fermo restando
l’eventuale sussistenza del requisito soggettivo da parte dell’ente riconosciuto dalla
Federazione di competenza, risulterebbero carenti del presupposto oggettivo riferito alla
definizione e qualificazione della nozione “di insegnamento scolastico o universitario” ai sensi
dell’art. 132, par. 1, lett. i) e j), della Direttiva 2006/112, che, secondo la giurisprudenza della
Corte di Giustizia UE deve essere connotato dalla diffusione di “un sistema integrato di
conoscenze e competenze avente ad oggetto un insieme ampio e diversificato di materie,
nonché all’approfondimento e allo sviluppo di tali conoscenze e di tali competenze da parte
degli allievi e degli studenti”.
CONCLUSIONI
In definitiva, il nuovo regime di esenzione Iva si inserisce in via sostitutiva rispetto alla regola
della esclusione del campo di applicazione dell’imposta con la conseguenza che, rispetto alla
previgente situazione (nel caso in cui per l’ente era sufficiente emettere – più per ragioni di
opportunità e di controllo di gestione interno che per obbligo di legge – una ricevuta non
fiscale per le quote ricevute), di assoggettare i soggetti destinatari della previsione a tutti gli
adempimenti previsti dal D.P.R. n. 633/1972, quali l’emissione di scontrino o fattura, la tenuta
dei registri Iva, la comunicazione delle liquidazioni periodiche, la dichiarazione Iva, la tenuta
3 Cfr., a titolo esemplificativo, Risposte a Interpello nn. 393/2022, 162/2020.
della contabilità separata), salvo l’esercizio dell’opzione per la dispensa dagli adempimenti Iva
ex art. 36-bis (esclusiva presenza di operazione esenti)4
.
È una novità importante per il mondo sportivo giacché attualmente la maggior parte delle
entrate in questione (corrispettivi specifici e quote supplementari) rientra nel regime di
esclusione Iva previsto dall’art. 4 del decreto Iva.

Auto elettriche ai dipendenti: tassati i rimborsi per le ricariche

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ROMA 28 AGO 2023 – I rimborsi erogati dal datore di lavoro ai propri dipendenti, per le spese di energia elettrica finalizzate alla ricarica degli autoveicoli assegnati in uso promiscuo, costituiscono reddito di lavoro dipendente da assoggettare a tassazione. Non rientrano, infatti, nelle deroghe al principio di onnicomprensività del reddito stabilite dall’articolo 51 del Tuir.

Lo afferma l’Agenzia delle entrate con la risposta n. 421 del 25 agosto 2023, fornita ad una società, la quale assegna ai propri dipendenti, in uso promiscuo, autovetture a trazione integralmente elettrica o ibrida, per le quali intende riconoscere, agli stessi dipendenti, il rimborso delle spese sostenute per la ricarica elettrica del veicolo assegnato effettuata presso la propria abitazione.
La società, in particolare, ritiene che le spese in argomento, da quantificare con criteri oggettivi, debbano essere escluse da imposizione fiscale (ex articolo 51, comma 4 lettera a), del Tuir) se rimborsate dall’azienda, in quanto costituiscono anticipazione per conto del datore di lavoro.
Inoltre, a parere dell’istante, anche gli oneri sostenuti dagli assegnatari per il costo delle infrastrutture (wallbox, colonnine di ricarica, contatore a defalco), se rimborsati dall’azienda, devono essere esclusi da tassazione.

L’Agenzia, dopo aver ricordato che il richiamato articolo 51, in generale, sancisce il ”principio di onnicomprensività” del reddito di lavoro dipendente, in base al quale sia gli emolumenti in denaro sia i valori corrispondenti ai beni, ai servizi e alle opere “offerti” dal datore di lavoro ai propri dipendenti costituiscono redditi imponibili e, in quanto tali, concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente, ammette che la stessa disposizione individua, tuttavia, specifiche deroghe al principio di onnicomprensività, elencando le componenti reddituali che non concorrono a formare la base imponibile o vi concorrono solo in parte.

Crisi d’impresa, nuovi limiti per il ricorso all’omologa forzosa (cram down)

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Roma 24 ago 2023 – La disciplina della transazione dei crediti fiscali e contributivi contenuta nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII – Dlgs n. 14/2019) prevede che il debitore possa proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali e dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie (Inps e Inail).
È possibile quindi che tale proposta non trovi l’adesione dei creditori pubblici, in tale ipotesi, è lo stesso Codice a prevedere, all’articolo 63, il rimedio dell’omologa forzosa (cram down) che consente al tribunale, verificata la sussistenza di determinate condizioni, di procedere all’omologa della proposta presentata dal debitore, anche in assenza della predetta adesione.

Il verificarsi nella pratica di omologhe forzose di accordi di ristrutturazione particolarmente penalizzanti per i grandi creditori istituzionali (con il riconoscimento a favore di quest’ultimi di percentuali di soddisfacimento irrisorie) ha portato il legislatore a intervenire sul fenomeno per ricondurlo a “valori” accettabili.
Con un emendamento al Dl n. 69/2023 è stato così introdotto l’articolo 1-bis, il quale al primo comma stabilisce che, fino alla data di entrata in vigore del correttivo dell’articolo 63 del CCII, non trovi applicazione quanto disposto dal comma 2, ultimo periodo, e comma 2-bis del citato articolo 63.

La novella legislativa, che comunque non interviene sulla disciplina della transazione fiscale proposta nel concordato preventivo, la quale rimane invariata, ha dunque fissato le condizioni che devono ricorrere congiuntamente, affinché il tribunale possa procedere all’omologazione forzosa degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 57 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

La disposizione, nel dettaglio, prevede che:

  • l’adesione del creditore pubblico sia determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali richieste dagli articoli 57, comma 1 (60% dei crediti per gli accordi di ristrutturazione “ordinari”), e 60, comma 1, (30% dei crediti per gli accordi di ristrutturazione agevolati) del CCII
  • la proposta di soddisfacimento dell’Amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie, tenuto conto delle risultanze della relazione del professionista indipendente, sia conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria e tale circostanza costituisca oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale in sede di omologa.

In aggiunta a tali requisiti, vengono tuttavia fissate ulteriori condizioni, in grado di ridurre significativamente i casi di accordi potenzialmente omologabili in via forzosa, nonché di influenzare il contenuto delle future proposte presentate:

  • gli accordi non devono avere natura liquidatoria. La possibilità del cram down, pertanto, è prevista solo qualora il piano di risanamento preveda la continuità aziendale. Evidente in ciò il favor verso la conservazione dell’impresa, bene da tutelare nell’interesse non solo dei creditori, ma anche del debitore, dei lavoratori e del sistema economico nel suo complesso.
  • il credito complessivo vantato dagli altri creditori aderenti agli accordi di ristrutturazione deve essere pari ad almeno un quarto dell’importo complessivo dei crediti
  • il soddisfacimento dei crediti dell’Amministrazione finanziaria e degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie deve essere pari almeno al 30% dell’ammontare dei rispettivi crediti, sanzioni e interessi inclusi.

Oltre a prevedere che vi siano altri creditori aderenti e che gli stessi siano rappresentativi di un credito significativo (pari ad almeno il 25% del totale dei crediti), viene stabilita, pertanto, una soglia minima (in percentuale rispetto all’importo del credito), al di sotto della quale l’offerta del debitore viene ritenuta troppo esigua e tale da escludere la possibilità di omologa forzosa da parte del tribunale.

È stata, inoltre, disciplinata anche l’eventualità in cui in cui l’ammontare complessivo dei crediti vantati dagli altri creditori aderenti sia inferiore a un quarto dell’importo complessivo dei crediti. In tal caso, è previsto che possa farsi luogo al cram down, fermo restando il rispetto delle altre condizioni, solo se il soddisfacimento dei crediti dei creditori pubblici non sia inferiore al 40% dell’ammontare dei rispettivi crediti, inclusi sanzioni e interessi. In tale eventualità, è stata posta altresì l’ulteriore condizione che la dilazione di pagamento richiesta non ecceda il periodo di 10 anni.
In sostanza, i commi 2 e 3 dell’articolo 1-bis individuano due differenti soglie che segnano i limiti di soddisfazione dei crediti dell’Amministrazione finanziaria e previdenziale nelle transazioni fiscali che si inseriscono in un accordo di ristrutturazione.

Vengono poi dettate ulteriori disposizioni che, seppur non riferite ai presupposti del cram down, ma piuttosto al procedimento di omologazione, presentano comunque importanti risvolti pratici (commi 4 e 5).
In primo luogo, a favore della parte pubblica, viene fissato, in capo al debitore che proceda al deposito della domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione con annessa transazione fiscale, l’obbligo di avvisare i creditori istituzionali dell’avvenuta iscrizione della domanda nel registro delle imprese.
La comunicazione va fatta tramite posta elettronica certificata all’Amministrazione finanziaria e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale dell’istante. Dalla ricezione dell’avviso decorre, per gli uffici, il termine di 30 giorni previsto dall’articolo 48, comma 4, del CCII, per proporre opposizione alla richiesta di omologa.

Infine, viene stabilito che l’eventuale adesione alla proposta di transazione debba intervenire entro 90 giorni decorrenti dal deposito della stessa (comma 5) e, all’ultimo comma, che la disciplina transitoria introdotta si applichi retroattivamente anche alle proposte di transazione fiscale depositate in data successiva all’entrata in vigore del decreto (avvenuta il 13 giugno 2023).

Entrate tributarie in forte aumento nel primo semestre 2023

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Roma – E’ stato pubblicato il rapporto sull’andamento delle entrate tributarie e contributive nel periodo gennaio-giugno 2023. I primi sei mesi dell’anno, che mostrano una crescita di 13.485 milioni di euro (+3,6%) rispetto allo stesso periodo 2022, riflettono la variazione positiva delle entrate tributarie

I dati del report sono integrati rispetto al bollettino diffuso l’8 agosto scorso, in quanto includono anche i principali tributi degli enti territoriali, le poste correttive e il gettito contributivo. In particolare, gli incassi contributivi nei primi sei mesi del 2023 sono risultati pari a 126.248 milioni di euro, in aumento di 5.465 milioni di euro (+4,5%) rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente.
“L’Inps – spiega Lamberto Mattei dottore commercialista – riveste  il ruolo principale, contabilizzando entrate in aumento di 5.169 milioni di euro rispetto al 2022 (+4,7 per cento), per effetto sia dell’andamento dei contributi del settore privato (+5,6%) che di quello degli incassi delle gestioni dei lavoratori dipendenti pubblici, i quali fanno segnare un aumento del 2,6% se confrontati con il corrispondente periodo dell’anno precedente.
Le entrate contributive degli enti previdenziali privatizzati, invece, risultano pari a 5.247 milioni di euro, in aumento del 2,9 per cento.

Al link il rapporto del MEF

Rapporto entrate tributarie primo semestre 2023

Didattica nello sport, al via l’esenzione Iva per le attività

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Roma 8 agosto 2023  – Il recente decreto Pa-Sport sul tema della didattica sportiva caratterizza le attività di formazione con esenzione dell’iva. Il provvedimento riguarda enti ed associazioni ed introduce altre novità come il  credito di imposta fino alla fine dell’anno 2023  per gli investimenti in pubblicità ed altre importanti disposizioni inenrenti le Olimpiadi Milano – Cortina del 2026.

Questa decisione mira a ridurre il peso fiscale sulle associazioni e gli enti che offrono formazione e istruzione nel campo dello sport, favorendo così la diffusione della pratica sportiva e il suo valore educativo. Anche se l’impatto normativo necessita di un attento monitoraggio gestionale delle attività contabili.

L’emendamento, approvato in sede in conversione in legge del decreto Pa-bis (articolo 36 bis),risponde in prima battuta all’esigenza di estendere il regime di esenzione Iva alle attività didattiche e formative rese dagli enti sportivi (articolo 6 del Dlgs 36/21). L’inserimento della disposizione normativa ha l’obiettivo di risolvere due principali problematiche: da una parte il superamento di orientamenti eccessivamente restrittivi, che piùvolte ha escluso dalle agevolazioni i corsi di formazioni erogati dagli enti sportivi dilettantistici, dall’altro razionalizza di fatto le revisioni del trattamento Iva dei corrispettivi specifici versati dai soci, associati o tesserati, che dal 1° luglio 2024 passeranno dal regime di esclusione a quello di esenzione Iva in conseguenza di una procedura di infrazione avviata dalla Ue nel 2009.

Nel caso di specie l’articolo 36 bis ha il pregio di attrarre nel nuovo regime di esenzione oltre alle Asd (Associazioni sportive dilettantistiche) anche le Ssd ( società sportive dilettantistiche) che rischiavano altrimenti di veder confluire tutti i corrispettivi versati dagli sportivi nel regime di piena imponibilità.

Nonostante l’intervento normativo risponda a una esigenza molto sentita  dagli operatori, occorrerà valutarne quindi con attenzione gli effetti in termini di compatibilità con i principi comunitari per non incappare in una successiva revisione da parte del fisco.

“Siamo impegnati in pieno agosto – spiega il dottore commercialista Lamberto Mattei – nel seguire le normative emanate e con il nostro team stiamo lavorando in simulazioni sugli effetti applicativi dei vari provvedimenti”.

Welfare aziendale 2023: le news nel decreto lavoro

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Roma – Pronte le istruzioni per i datori di lavoro che intendono erogare ai propri dipendenti con figli a carico somme o rimborsi a titolo di benefit. Con la circolare n. 23 di ieri 1° Agosto 2023,  vengono forniti chiarimenti sulle novità introdotte dall’articolo 40 del Dl n. 48/2023 (decreto “Lavoro”) in materia di agevolazioni fiscali per il lavoratore dipendente con figli a carico. Tale disposizione ha innalzato per il 2023 fino a 3mila euro (al posto degli ordinari 258,23 euro) il limite entro il quale è possibile riconoscere ai dipendenti beni e servizi esenti da imposte. Lo stesso decreto ha inoltre incluso tra i “bonus” che non concorrono a formare reddito di lavoro dipendente anche le somme erogate o rimborsate ai lavoratori per il pagamento delle utenze domestiche di energia elettrica, acqua e gas.

Il documento di prassi precisa che il benefit in esame rappresenta un’agevolazione ulteriore, diversa e autonoma, rispetto al bonus carburante previsto dall’articolo 1, comma 1, del Dl n. 5/2023. Al fine di fruire dell’esenzione da imposizione, i beni e i servizi erogati nel periodo d’imposta 2023 dal datore di lavoro a favore di ciascun lavoratore dipendente con figli a carico possono raggiungere un valore di 200 euro per uno o più buoni benzina e un valore di 3mila euro.

Con riferimento all’ambito di applicazione oggettivo dell’agevolazione, la circolare chiarisce che il nuovo limite massimo di esclusione dal reddito di lavoro dipendente opera limitatamente al periodo d’imposta 2023 e che, analogamente all’articolo 12 del decreto “Aiuti-bis”, tra i fringe benefit concessi ai lavoratori sono incluse le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale. Di conseguenza, viene precisato che il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati al lavoratore nonché le somme erogate o rimborsate per il pagamento delle utenze domestiche non concorrono, entro il limite 3mila euro, a formare il reddito di lavoro dipendente né sono soggetti all’imposta sostitutiva di cui ai commi da 182 a 189, della n. 208/2015, anche nell’eventualità in cui gli stessi siano fruiti, per scelta del lavoratore, in sostituzione, in tutto o in parte, dei premi di risultato e delle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa.

L’Agenzia precisa, inoltre, che qualora il valore dei beni ceduti o dei servizi forniti, nonché delle somme erogate o rimborsate per il pagamento delle bollette, risulti complessivamente superiore al limite in oggetto, l’intero valore rientra nell’imponibile fiscale e contributivo.

Come già precisato con la circolare n. 35/2022, il nuovo documento di prassi chiarisce che, al fine di evitare che si fruisca più volte di un beneficio in relazione alle medesime spese, le somme pagate per le utenze dal lavoratore dipendente nel 2023 che si riferiscono a consumi di competenza del 2022 – già rimborsate o per le quali siano già state erogate le somme dal datore di lavoro in applicazione del citato articolo 12 del decreto “Aiuti-bis” – non possono essere considerate ai fini della nuova agevolazione di cui all’articolo 40 del decreto “Lavoro”.

Quanto ai requisiti soggettivi richiesti dall’articolo 40 richiamato, la circolare specifica che beneficiari dell’agevolazione sono i titolari di redditi di lavoro dipendente e di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente aventi figli fiscalmente a carico ai sensi dell’articolo 12, comma 2, del Tuir (che abbiano, cioè, un reddito non superiore a 4mila euro ovvero a 2.840,51 euro in caso di età superiore a ventiquattro anni, al lordo degli oneri deducibili).

Al riguardo, la circolare in commento chiarisce che:

  • la condizione di figlio fiscalmente a carico deve essere verificata con riferimento al periodo d’imposta 2023 e il superamento o meno del limite reddituale va verificato alla data del 31 dicembre 2023
  • l’agevolazione è riconosciuta in misura intera a ogni genitore, titolare di reddito di lavoro dipendente e/o assimilato, anche in presenza di un unico figlio, purché lo stesso sia fiscalmente a carico di entrambi e anche nel caso in cui il lavoratore non possa beneficiare della detrazione per figli fiscalmente a carico di cui all’articolo 12 del Tuir poiché, ad esempio, per gli stessi già percepisce l’assegno unico e universale (Auu)
  • qualora i genitori si accordino per attribuire l’intera detrazione per figli fiscalmente a carico a quello dei due che possiede il reddito complessivo di ammontare più elevato, l’agevolazione spetta comunque a entrambi poiché il figlio è considerato fiscalmente a carico sia dell’uno sia dell’altro genitore.

Con riguardo ai lavoratori dipendenti non aventi l’ulteriore requisito soggettivo relativo a figli che si trovino nelle condizioni previste dall’articolo 12, comma 2, del Tuirla circolare stabilisce, in linea col dettato normativo, che continua ad applicarsi l’ordinario regime di esenzione previsto dall’articolo 51, comma 3, del Tuir (soglia di esenzione fino a 258,23 euro per il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati, non estensibile ai rimborsi e alle somme erogate per il pagamento delle bollette di luce, acqua e gas, per i quali resta applicabile il principio generale secondo cui qualunque somma percepita dal lavoratore in relazione al rapporto di lavoro costituisce reddito imponibile di lavoro dipendente).

Per quanto riguarda le modalità applicative dell’agevolazione in discorso, il documento di prassi ricorda la necessità, prevista dalla norma, di una preventiva dichiarazione da parte del lavoratore dipendente al datore di lavoro di avervi diritto, con indicazione del codice fiscale dell’unico figlio o dei figli fiscalmente a carico.
La dichiarazione può essere effettuata secondo modalità concordate fra datore di lavoro e lavoratore. Si chiarisce, inoltre, che i lavoratori per i quali sono venuti meno i presupposti per il riconoscimento del beneficio sono tenuti a darne prontamente comunicazione al sostituto d’imposta e quest’ultimo procede al recupero del beneficio non spettante dagli emolumenti corrisposti nei periodi di paga successivi a quello nel quale è resa la comunicazione e, comunque, entro i termini di effettuazione delle operazioni di conguaglio di fine anno o di fine rapporto, nel caso di cessazione dello stesso nel corso del 2023.

Infine, con riguardo all’obbligo per il datore di lavoro di procedere, ai fini del riconoscimento dell’agevolazione in discorso, alla previa informativa alle rappresentanze sindacali unitarie laddove presenti, la circolare prescrive che il beneficio possa essere riconosciuto anche prima che si provveda alla suddetta informativa, a condizione che la stessa avvenga entro la chiusura del medesimo periodo d’imposta.

Sport, al via la procedura per il credito d’imposta 2022

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Roma 1 ago 2023 – L’articolo 9 del decreto legge 27 gennaio 2022, n.4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2022 n. 25, ha esteso anche per l’anno di imposta 2022, le disposizioni previste dall’articolo 81, comma 1, del decreto-legge 14 agosto 2020, n.104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n.126 ed ha quindi concesso ai lavoratori autonomi, alle imprese e agli enti non commerciali che effettuano investimenti in campagne pubblicitarie, incluse le sponsorizzazioni, nei confronti di leghe che organizzano campionati nazionali a squadre nell’ambito delle discipline olimpiche ovvero società sportive professionistiche e società ed associazioni sportive dilettantistiche iscritte al registro CONI operanti in discipline ammesse ai Giochi Olimpici e che svolgono attività sportiva giovanile un contributo, sotto forma di credito d’imposta, pari al 50% degli investimenti effettuati a decorrere dal 1° gennaio 2022 e fino al 31 marzo 2022.

La domanda di riconoscimento del suddetto contributo deve essere effettuata in modalità on line in specifica piattaforma che verrà attivata dal Dipartimento per lo sport il giorno 1° agosto 2023; non saranno prese in considerazione domande pervenute con modalità diversa da quella prevista e al di fuori dei termini stabiliti (ovvero dal 1-8-2023  al 29-09-2023).

Il termine di presentazione delle domande è fissato al 29 settembre 2023.

Con riferimento alla proroga del riconoscimento del credito d’imposta di cui trattasi per il primo trimestre 2023, si precisa che la relativa procedura di richiesta verrà avviata al termine di quella prevista in questa sede per il 2022.

Arriva l’assegno di inclusione, sostituirà il reddito di cittadinanza: tutte le info!

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ROMA 1 AGO 2023 – Il c.d. “Decreto Lavoro 2023” (D.L. 4 maggio 2023, n. 48, convertito con modificazioni in legge 3 luglio 2023, n. 85) ha introdotto nuove misure di inclusione sociale e lavorativa, istituendo, tra gli altri, l’Assegno di inclusione.


Cos’è

L’Assegno di inclusione sarà riconosciuto a decorrere dal primo gennaio 2024 quale misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale, condizionata al possesso di requisiti di residenza, cittadinanza e soggiorno, alla prova dei mezzi sulla base dell’ISEE, alla situazione reddituale del beneficiario e del suo nucleo familiare e all’adesione a un percorso personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa.


A chi è destinato

L’Assegno di inclusione è riconosciuto ai nuclei familiari che abbiano almeno un componente in una delle seguenti condizioni:

  • con disabilità;
  • minorenne;
  • con almeno 60 anni di età;
  • in condizione di svantaggio e inserito in programma di cura e assistenza dei servizi socio sanitari territoriali certificato dalla pubblica amministrazione.

Ai fini della determinazione del beneficio spettante, attraverso una scala di equivalenza si tiene conto dei componenti in una delle condizioni sopra indicate, nonché del componente che svolge funzioni di cura con riferimento alla presenza di minori di 3 anni di età, di 3 o più figli minorenni ovvero di componenti con disabilità o non autosufficienti.


I diversi requisiti

Requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno

Al momento della presentazione della richiesta e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, il richiedente la misura deve essere:

  • cittadino europeo o un suo familiare, che deve essere titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero essere cittadino di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, ovvero titolare dello status di protezione internazionale (asilo politico o protezione sussidiaria), di cui al D. Lgs. 19 novembre 2007, n. 251;
  • residente in Italia per almeno cinque anni, di cui gli ultimi due anni in modo continuativo. La residenza in Italia è richiesta anche per i componenti del nucleo familiare che rientrano nei parametri della scala di equivalenza.

Requisiti soggettivi

  • non essere sottoposto a misura cautelare personale o a misura di prevenzione;
  • non avere sentenze definitive di condanna o adottate ai sensi dell’articolo 444 e seguenti del codice di procedura penale (cosiddetto “patteggiamento”), intervenute nei 10 anni precedenti  la  richiesta.

Requisiti economici

Inoltre il nucleo familiare del richiedente deve essere in possesso congiuntamente di:

  • ISEE in corso di validità di valore non superiore a euro 9.360; nel caso di nuclei familiari con minorenni, l’ISEE è calcolato ai sensi dell’art. 7 del DPCM n. 159 del 2013;
  • un valore del reddito familiare inferiore ad una soglia di euro 6.000 annui moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza di cui in seguito. Se il nucleo familiare è composto da persone tutte di età pari o superiore a 67 anni, ovvero da persone di età pari o superiore a 67 anni e da altri familiari tutti in condizioni di disabilità grave o di non autosufficienza, come definite dall’allegato 3 al DPCM 159/2013, la soglia di reddito familiare è fissata in euro 7.560 annui, moltiplicati per il corrispondente parametro della scala di equivalenza.

Elementi che determinano il reddito familiare

Scheda ADI per gli elementi del reddito familiare

Requisiti patrimoniali

  • un valore ai fini IMU del patrimonio immobiliare (diverso dalla casa di abitazione, il cui valore non deve superare euro 150.000), non superiore ad euro 30.000;
  • un valore del patrimonio mobiliare non superiore ad euro 6.000, accresciuto di euro 2.000 per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino a un massimo di euro 10.000, incrementato di ulteriori euro 1.000 per ogni minorenne successivo al secondo; i predetti massimali sono ulteriormente incrementati di euro 5.000 per ogni componente in condizione di disabilità e di euro 7.500 per ogni componente in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza presente nel nucleo;
  • nessun componente il nucleo familiare deve essere intestatario a qualunque titolo o avere piena disponibilità di autoveicoli di cilindrata superiore a 1600 cc. o motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc., immatricolati la prima volta nei 36 mesi antecedenti la richiesta, esclusi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui è prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità ai sensi della disciplina vigente;
  • nessun componente deve essere intestatario a qualunque titolo o avere piena disponibilità di navi e imbarcazioni da diporto, nonché di aeromobili di ogni genere. 

Ulteriori condizioni

Non ha diritto all’Assegno di inclusione il nucleo familiare di cui un componente, sottoposto agli obblighi di cui all’articolo 6, comma 4 risulta disoccupato a seguito di dimissioni volontarie, nei 12 mesi successivi alla data delle dimissioni, fatte salve le dimissioni per giusta causa, nonché le risoluzioni consensuali del contratto di lavoro intervenute nell’ambito della procedura di conciliazione di cui all’art. 7 della Legge 15 luglio 1966, n. 604.


La scala di equivalenza

Il parametro della scala di equivalenza, di cui all’art. 2, comma 4 è pari a 1 per il nucleo familiare ed è incrementato fino a un massimo complessivo di 2,2 ulteriormente elevato a 2,3 in presenza di componenti in condizione di disabilità grave o non autosufficienza, come segue:

Scala equivalenza scheda ADI

Non sono conteggiati nella scala di equivalenza i componenti per tutto il periodo in cui risiedono in strutture a totale carico pubblico e nei periodi di interruzione della residenza in Italia, in quanto assenti per un periodo pari o superiore a 2 mesi, se continuativi, ovvero per un periodo pari o superiore a 4 mesi nell’arco di 18 mesi, anche non continuativi.


Beneficio economico

L’importo dell’Assegno di inclusione è composto da una integrazione del reddito familiare fino a euro 6.000 annui, ovvero euro 7.560 annui se il nucleo familiare è composto da persone tutte di età pari o superiore a 67 anni ovvero da persone di età pari o superiore a 67 anni e da altri familiari tutti in condizioni di disabilità grave o di non autosufficienza, moltiplicati per il corrispondente parametro della scala di equivalenza. A tale importo, può essere aggiunto un contributo per l’affitto dell’immobile dove risiede il nucleo per un importo pari all’ammontare del canone annuo previsto nel contratto in locazione (ove regolarmente registrato) fino ad un massimo di euro 3.360 annui, ovvero 1.800 euro annui se il nucleo familiare è composto da persone tutte di età pari o superiore a 67 anni ovvero da persone di età pari o superiore a 67 anni e da altri familiari tutti in condizioni di disabilità grave o di non autosufficienza. Tale integrazione non rileva ai fini del calcolo della soglia di reddito familiare.

Il beneficio economico non può essere, comunque, inferiore a euro 480 annui.

Il beneficio è erogato mensilmente per un periodo continuativo non superiore a 18 mesi e può essere rinnovato, previa sospensione di un mese, per ulteriori 12 mesi. Allo scadere dei periodi di rinnovo è sempre prevista la sospensione di un mese.


Carta di inclusione

Il contributo economico è erogato attraverso uno strumento di pagamento elettronico ricaricabile, denominato “Carta di inclusione“, con la quale oltre al soddisfacimento delle esigenze previste per la carta acquisti potranno essere eseguiti prelievi di contante entro un limite mensile di 100 euro per un singolo individuo, moltiplicato per la scala di equivalenza e potrà essere eseguito un bonifico mensile in favore del locatore indicato nel contratto di locazione.


Come richiederlo

L’Assegno di inclusione è richiesto con modalità telematiche all’INPS, che lo riconosce, previa verifica del possesso dei requisiti e delle condizioni richieste. La richiesta può essere presentata, altresì, presso i patronati e i centri di assistenza fiscale (CAF), previa stipula di una convenzione con l’INPS.


Variazione per attività lavorativa

In caso di avvio di un’attività di lavoro dipendente da parte di uno o più componenti il nucleo familiare, il maggior reddito da lavoro percepito non concorre alla determinazione del beneficio economico, entro il limite massimo di 3.000 euro lordi annui, mentre il reddito da lavoro eccedente tale soglia concorre alla determinazione del beneficio economico a decorrere dal mese successivo a quello della variazione. Entro 30 giorni dall’avvio dell’attività lavorativa, il lavoratore dovrà darne comunicazione all’INPS, che comunque acquisisce i dati delle assunzioni dalla banca dati delle comunicazioni obbligatorie; l’erogazione del beneficio è sospesa fintanto che tale obbligo non è ottemperato e, comunque, non oltre tre mesi dall’avvio dell’attività, decorsi i quali il diritto alla prestazione decade.

L’avvio di un’attività d’impresa o di lavoro autonomo, svolta sia in forma individuale che di partecipazione, da parte di uno o più componenti il nucleo familiare nel corso dell’erogazione dell’Assegno di inclusione, è comunicato all’INPS entro il giorno antecedente all’inizio della stessa a pena di decadenza dal beneficio. A titolo di incentivo, il beneficiario fruisce senza variazioni dell’Assegno di inclusione per le due mensilità successive a quella di variazione della condizione occupazionale, ferma restando la durata complessiva del beneficio.  Il beneficio è successivamente aggiornato ogni trimestre avendo a riferimento il trimestre precedente e il reddito concorre per la parte eccedente 3.000 euro lordi annui. A tale fine, il beneficiario è tenuto a comunicare entro il quindicesimo giorno successivo al termine di ciascun trimestre dell’anno, il reddito conseguito come differenza tra i ricavi e i compensi percepiti e le spese sostenute nell’esercizio dell’attività.


Altre variazioni

È fatto obbligo al beneficiario dell’Assegno di comunicare ogni variazione riguardante le condizioni e i requisiti di accesso alla misura e per il suo mantenimento, a pena di decadenza dal beneficioentro quindici giorni dall’evento modificativo. In caso di variazione del nucleo familiare in corso di fruizione del beneficio, l’interessato presenta entro un mese dalla variazione, a pena di decadenza dal beneficio, una dichiarazione sostitutiva unica (DSU) aggiornata.


Obblighi percorso scolastico

Ai beneficiari della misura si applicano gli obblighi previsti dall’articolo 1, comma 316, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, in tema di iscrizione e frequenza ai percorsi di istruzione degli adulti di primo livello. Tale disposizione riguarda i beneficiari dell’Assegno di inclusione appartenenti alla fascia di età compresa tra diciotto e ventinove anni che non hanno adempiuto agli obblighi di istruzione.


Patto di attivazione digitale

L’INPS informa il richiedente che, per ricevere il beneficio economico, deve iscriversi presso il sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa (SIISL), al fine di sottoscrivere un patto di attivazione digitale. Il beneficio economico decorre dal mese successivo a quello di sottoscrizione da parte del richiedente del patto di attivazione digitale. Una volta sottoscritto il patto di attivazione digitale, i componenti dei nuclei familiari beneficiari dell’Assegno di inclusione sono tenuti a aderire ad un percorso personalizzato di inclusione sociale o lavorativa. Il percorso viene definito nell’ambito di uno o più progetti finalizzati a identificare i bisogni del nucleo familiare nel suo complesso e dei singoli componenti.


Percorso di inclusione sociale e lavorativa

I beneficiari devono presentarsi per il primo appuntamento presso i servizi sociali entro 120 giorni dalla sottoscrizione del patto di attivazione digitale. Successivamente, ogni 90 giorni, i beneficiari, diversi dai soggetti attivabili al lavoro, sono tenuti a presentarsi ai servizi sociali, o presso gli istituti di patronato, per aggiornare la propria posizione. In caso di mancata presentazione, il beneficio economico è sospeso.

I servizi sociali eseguono una valutazione multidimensionale dei bisogni del nucleo familiare, finalizzata alla sottoscrizione di un patto per l’inclusione. Nell’ambito di tale valutazione, i componenti del nucleo familiare, di età compresa tra 18 e 59 anni, attivabili al lavoro e tenuti agli obblighi di partecipazione al Percorso personalizzato di inclusione sociale e lavorativa (di cui all’art. 6 del Decreto Lavoro), vengono avviati ai centri per l’impiego ovvero presso i soggetti accreditati ai servizi per il lavoro, per la sottoscrizione del patto di servizio personalizzato. Il patto di servizio personalizzato è sottoscritto entro 60 giorni dall’avvio dei componenti al centro per l’impiego ovvero presso i soggetti accreditati ai servizi per il lavoro. Successivamente, ogni 90 giorni, i beneficiari sono tenuti a presentarsi ai centri per l’impiego ovvero presso i soggetti accreditati ai servizi per il lavoro presso cui sia stato sottoscritto il patto di servizio personalizzato, per aggiornare la propria posizione. In caso di mancata presentazione, il beneficio economico è sospeso.

Sono tenuti all’obbligo di adesione e alla partecipazione attiva a tutte le attività formative, di lavoro, nonché alle misure di politica attiva, comunque denominate, individuate nel progetto di inclusione sociale e lavorativa, i componenti del nucleo familiare, maggiorenni, che esercitano la responsabilità genitoriale.

Sono esclusi dagli obblighi di partecipazione al percorso:

  • i beneficiari dell’Assegno di inclusione titolari di pensione diretta o comunque di età pari o superiore a 60 anni;
  • i componenti con disabilità, fatta salva ogni iniziativa di collocamento mirato;i componenti affetti da patologie oncologiche;
  • i componenti con carichi di cura, valutati con riferimento alla presenza di soggetti minori di tre anni di età, di tre o più figli minori di età, ovvero di componenti il nucleo familiare con disabilità o non autosufficienza, come definite nell’allegato 3 al regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159;
  • i componenti inseriti nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere e le donne vittime di violenza, con o senza figli, prese in carico da centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni o dai servizi sociali nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere.

I componenti del nucleo familiare con disabilità o di età pari o superiore a 60 anni o inseriti nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere possono comunque richiedere l’adesione volontaria a un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo o all’inclusione sociale.


Offerte di lavoro e compatibilità con Assegno di inclusione

Il componente del nucleo familiare beneficiario dell’Assegno di inclusione, attivabile al lavoro, preso in carico dai servizi per il lavoro competenti è tenuto ad accettare un’offerta di lavoro che abbia le seguenti caratteristiche:

  • si riferisce a un rapporto di lavoro a tempo indeterminato senza limiti di distanza nell’ambito del territorio nazionale. Esclusivamente nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti figli con età inferiore a quattordici anni, anche qualora i genitori siano legalmente separati, l’offerta va accettata se il luogo di lavoro non eccede la distanza di 80 chilometri dal domicilio del soggetto o, comunque, è raggiungibile nel limite temporale massimo di 120 minuti con i mezzi di trasporto pubblico;
  • si riferisce a un rapporto di lavoro a tempo pieno o a tempo parziale non inferiore al 60% dell’orario a tempo pieno;
  • la retribuzione non è inferiore ai minimi salariali previsti dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 81;
  • si riferisce a un contratto di lavoro a tempo determinato, anche in somministrazione, qualora il luogo di lavoro non disti più di 80 chilometri dal domicilio del soggetto o sia raggiungibile in non oltre 120 minuti con i mezzi di trasporto pubblico.

Incentivi per chi assume

Ai datori di lavoro privati che assumono i beneficiari dell’Assegno di inclusione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, pieno o parziale, o anche mediante contratto di apprendistato (e nel caso di trasformazioni dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato nel limite massimo di ventiquattro mesi), è riconosciuto per ciascun lavoratore, per un periodo massimo di 12 mesil’esonero dal versamento del 100% dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e dei contributi dovuti all’INAIL, nel limite massimo di 8.000 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile. Resta ferma l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.

Nel caso di licenziamento del beneficiario dell’Assegno di inclusione effettuato nei 24 mesi successivi all’assunzione, il datore di lavoro è tenuto alla restituzione dell’incentivo fruito maggiorato delle sanzioni civili, salvo che il licenziamento avvenga per giusta causa o per giustificato motivo.


Sanzioni e decadenza

Sono previste sanzioni penali in caso di dichiarazioni mendaci, di esibizione di falsa documentazione, di omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio o di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini del mantenimento del beneficio. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rende dichiarazioni false o omette informazioni pertinenti al fine di percepire l’Assegno di inclusione è punito con la reclusione da 2 a 6 anni. L’omessa comunicazione di variazioni di reddito o patrimonio, anche a seguito di attività irregolari o altre informazioni relative al mantenimento del beneficio, comporta la reclusione da 1 a 3 anni. È prevista la decadenza dal beneficio e condanna alla restituzione di quanto percepito per chi è condannato in via definitiva anche a seguito di patteggiamento per aver illecitamente ottenuto il beneficio o per qualsiasi delitto non colposo con pena non inferiore a un anno. A seguito della revoca, il beneficiario è tenuto alla restituzione e l’INPS dispone l’immediata disattivazione della Carta di inclusione.

In sintesi, il nucleo familiare decade dal beneficio economico concesso se un componente:

  • non si presenta presso i servizi sociali o il servizio per il lavoro competente nel termine fissato, senza un giustificato motivo;
  • non sottoscrive il patto per l’inclusione o il patto di servizio personalizzato, di cui all’articolo 4, salvi i casi di esonero;
  • non partecipa, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di carattere formativo o di riqualificazione o ad altra iniziativa di politica attiva o di attivazione, comunque denominate, nei quali è inserito dai servizi per il lavoro, secondo quanto previsto dal patto di servizio personalizzato, ovvero non rispetta gli impegni concordati con i servizi sociali nell’ambito del percorso personalizzato, ovvero non frequenta regolarmente un percorso di istruzione degli adulti di primo livello, o comunque funzionale all’adempimento dell’obbligo di istruzione;
  • non accetta, senza giustificato motivo, una offerta di lavoro che abbia le caratteristiche i cui all’art. 9 del D.L. Lavoro 2023;
  • non rispetta le previsioni di cui all’articolo 3, commi 7, 8, 10 e 11 ovvero effettua comunicazioni mendaci in modo da determinare un beneficio economico maggiore;
  • non presenta una dichiarazione sostitutiva unica (anche DSU) aggiornata in caso di variazione del nucleo familiare;
  • viene trovato, nel corso delle attività ispettive svolte dalle competenti autorità, intento a svolgere attività di lavoro, senza aver provveduto alle prescritte comunicazioni.

Se il nucleo familiare è decaduto per mancata partecipazione alle politiche attive da parte di un componente può fare nuova domanda solo dopo 6 mesi dalla revoca o decadenza.